Mondo

Parla il vescovo di Islamabad. L’Islam non ci è nemico

"I media occidentali ci usano in chiave anti musulmana. Ma qui non c’è nessuno scontro di civiltà". Monsignor Anthony Lobo spiega la situazione dei cattolici.

di Redazione

Rawalpindi, ottobre è vescovo cattolico a Islamabad e Rawalpindi. Nella sua diocesi i cristiani sono una piccola minoranza, spesso vittima di terribili violenze da parte degli estremisti musulmani. Eppure, monsignor Anthony Lobo non si sente un assediato. Prima ancora di rispondere alle nostre domande, vuole precisare il suo pensiero: «Dobbiamo smettere di dipingere il Pakistan come baluardo del fondamentalismo islamico. è uno schematismo dei media occidentali. L?immagine che viene data in Occidente del Paese è molto negativa: radicalismo religioso, intolleranza, violenza, corruzione, traffici di droga? Non è corretto veicolare soltanto questi aspetti. Il Pakistan è anche altro». L?affermazione può suonare perlomeno curiosa alla luce della serie dei cinque attentati perpetrati ai danni della comunità cristiana pakistana a firma di non identificati gruppi fondamentalisti. L?ultimo risale al 25 settembre. Obiettivo: l?organizzazione benefica cristiana Idare-e Ann-O Insaf (Pace e Giustizia) di Karachi. La crociata no «Gli attentati avvenuti dall?11 settembre 2001 si iscrivono in una cornice di malessere che deriva dall?appoggio dato dal governo pakistano all?operazione americana Enduring freedom», spiega monsignor Lobo. «La matrice ideologica che sta alla base dei terroristi è di natura anti americana prima che anti cristiana. Se è vero che la Chiesa si trova a difendere il concetto di diritto individuale e la cultura politica dell?Occidente, è anche vero che una piena identificazione tra Chiesa e Occidente è impropria. E oltretutto può rappresentare, in un contesto come quello odierno, una condanna. Il rischio è considerare le azioni-reazioni che hanno seguito l?11 settembre come una guerra tra civiltà. è distruttivo utilizzare termini quali ?crociata? o ?guerra santa?». Lobo è nativo di Goa, India, ed è stato anche insegnante di Pervez Musharraf, attuale presidente del Pakistan, l?uomo forte del Paese, giunto al potere con un colpo di Stato il 12 ottobre 1999 e autoproclamatosi presidente il 20 giugno 2001. Lobo lo difende: «Musharraf era il solo uomo in grado di arginare le drammatiche conseguenze che lo squasso provocato dall?11 settembre avrebbe potuto provocare in Pakistan». Dalla presa di posizione a favore di Enduring freedom, Musharraf ha subito una vera e propria metamorfosi: da dittatore musulmano e amico dei talebani e di Al-Qaeda, si è trasformato in leader liberale alleato dell?Occidente, e oggi potrebbe, dopo le elezioni del 10 ottobre, avere ancora più potere. «Per quanto riguarda la possibilità di conferire un maggior stato di diritto alle minoranze religiose, Musharraf ha creato aspettative dimostrando una volontà di apertura e di dialogo». Il diritto al vino Aspettative disattese perché in realtà non ha ancora concretizzato nessuna delle sue proposte di riforme in materia: la legge elettorale riserva ancora dei seggi in proporzione alle minoranze religiose; gli emendamenti per la modifica alla legge sulla blasfemia (proclamata dal generale Zia nel 1985) sono stati ritirati a seguito delle pressioni degli ulema, gli studenti islamici; e molto poco è stato fatto per la progressiva trasformazione delle 7mila madrasse, le scuole coraniche, in scuole normali. «Nonostante tutto», prosegue Lobo, «io resto fiducioso dell?uomo. Nonostante l?attacco all?Afghanistan abbia acuito le tensioni tra i gruppi religiosi, non esiste un regime di polizia persecutorio. Noi cristiani, gli ahl-i-kitab (gente del Libro) siamo rispettati dalla maggior parte dei musulmani. Cito un esempio in sé banale: il ministero degli Interni rilascia permessi speciali ai cristiani per trasportare il vino nelle diocesi per celebrare la messa. Esistono episodi di discriminazione, non posso negarlo. Ma non sono da attribuire a motivazioni religiose, piuttosto a ragioni sociali ed economiche». L?origine è storica: 250 anni fa i cristiani convertiti appartenevano alla scala sociale più bassa. Erano i cosiddetti ?schiavi della terra?. Spiega Lobo: «I coloni utilizzavano la terra come merce di scambio per chi si convertiva. Ancora oggi in Pakistan non ci sono cristiani ricchi. Una minoranza esigua appartiene al ceto medio. Così come non si trovano cristiani nei posti di potere. Non un industriale, non un generale. Poca educazione, poca cultura, pochi soldi, nessun potere. Personalmente non ho mai avuto alcun problema con la gerarchia religiosa musulmana. Ma sono consapevole di essere un privilegiato. Lo sforzo che sto compiendo è proprio quello di formare una classe dirigente cristiana». Il caso blasfemia è proprio però l?aspetto di proselitismo che può rappresentare un problema nella Repubblica islamica del Pakistan. Infatti, nonostante la costituzione approvata nel 1973 stabilisca la libertà di culto (la stessa bandiera, disegnata da Quaid-i-Azam-Muhammad Ali Jinnah, testimonia, nella parte bianca, la presenza di minoranze religiose), nei fatti non è tollerata la predicazione di religioni diverse da quella islamica. Questo aspetto è ben evidenziato dal rapporto Pakistan: Insufficient protection of religious minorities di Amnesty International pubblicato nel 2001. La maggior parte del documento si sofferma sulla «blasfemian law», la legge sulla blasfemia, in particolare sull?analisi del paragrafo 295C del codice penale pakistano, che condanna a morte gli eretici. Anthony Lobo mantiene una visione forse meno temporale e più secolare del problema. «I principi religiosi, che siano diversi o meno, hanno una finalità comune: tendere a rendere i fedeli coscienti dei propri doveri. La legge sulla blasfemia in sé non è un male. Il male sta in come viene applicata. Il grande lavoro da compiere è proprio quello di contrastare gli eccessi. E questo è possibile sono in un?ottica di dialettica teologica». Marta Fiore


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA